lunedì 12 novembre 2012

Perchè le calze odiano le donne? Ovvero quello che le donne non dicono...

Sicuramente le calze odiano me e non capisco cosa ho fatto di male per meritarlo.

Il 21 settembre finisce l'estate e comincia il conto alla rovescia verso l'inesorabile: le calze! Ma prima scendono in campo le manovre diversive: pantalone lungo, mocassino, jeans, sneaker…praticamente legittima difesa. Una mattina però non basta più, il generale inverno viene a riscuotere il suo debito di quotidiano fastidio.

Il gambaletto (si è orrendo ma non è questo il punto) stringe il polpaccio e ferma la circolazione. Con quel laccio emostatico non scorre nemmeno una goccia di sangue, complice anche le 8 ore sedute su una sedia. Ora di sera la gamba sembra tagliata in due, sotto il ginocchio c'è un solco viola e un evidente principio di cancrena. E al mattino ci tocca replicare perchè le alternative sono anche peggio.

Le calze di cotone sono incompatibili con le gonne e con le scarpe "da ufficio" e poi scivolano, scendono indecorosamente fino alla caviglia e tirarsi su le calze non è esattamente un gesto da riunione-con-il-capo o colloquio con la maestra della scuola dei bambini davanti a cui cerchiamo di sembrare persone serie e composte mentre invece stiamo pensando che ci cadono le calze.

I fantasmini (sì sono orrendissimi ma anche in questo caso non è questo il punto) si vedono, quindi...che fantasmi sono.  Si attorcigliano sotto il piede, dentro la scarpa, formano un'orrenda palletta che fa spessore - ovviamente quando non è il momento per rimediare. Senza fantasmino la vescica è libera di esprimere tutta la sua allegra presenza per cui ci tocca camminare come sulle uova. Ovviamente il giorno in cui dobbiamo andare ovunque dentro e fuori dall'ufficio.

Le parigine stanno su solo ai manichini dei negozi che le vendono. Ne ho un paio, ogni tanto provo a metterle ma stanno al loro posto solo dalla camera da letto all'ascensore, quando è troppo tardi per qualsiasi alternativa quindi…jeans e sneaker finta scarpa.

Le calze autoreggenti quando va bene si vulcanizzano sulla coscia lasciando esondare un orrendo rotolo di ciccia per ogni gamba che sfregando tutto il giorno provoca una striscia di pelle viola che brucia e ci costringe a camminare a gambe larghe - davvero poco femminile. Quando va male, il processo di vulcanizzazione non funziona e in metropolitana cominciano la loro inesorabile discesa. Che significa arrivare in ufficio reggendo le autoreggenti e supplicare una collega di andare a comprare un paio di collant.

Last but not least il collant. Il diavolo, belzebù, il demonio della vita delle donne: troppo stretti sul cinturino (il peggiore dei mal di pancia), corti tirano sul cavallo, larghi scivolano per cui il cavallo scende fino alle ginocchia. Si smagliano per un nonnulla, nel punto sbagliato, il giorno in cui non abbiamo il ricambio in borsa. Indossare i collant vuol dire scommettere: anelli, bracciali, unghie non perfette, pellicine sporgenti, la cucitura della sedia, una sistemata troppo vigorosa e la smagliatura è in agguato. Puntualmente ce ne informa la solita solerte collega che indossa pantaloni e stivali.

Tralascio l'orrenda giornata di chi sceglie il reggicalze, i collant contenitivi, i collant "tutto nudo" che senza cinturino scivolano, i leggings (in inverno ci vuole un calzino anche con i leggings) e altre diavolerie moderne.

Una via crucis quotidiana la cui salvezza è la domenica: jeans, calzettone slabbrato e stivale.

Atteso però che il galateo comanda che le donne di classe in città non escano mai con la gamba nuda, o io sono una donna di campagna oppure il galateo è stato scritto da una donna moooolto magra oppure da qualcuno che odia davvero tanto le donne di città.


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