Io lascio le tapparelle alzate in tutta la casa.
Lui le chiude tutte..fino all'ultimo spiraglio.
Io dormirei in penombra, per vedere arrivare la notte e sentire l’arrivo del giorno, lentamente dall'alba alla luce.
Lascerei aperte le tapparelle di tutte le stanze così quando mi dovessi
alzare di notte avrei la compagnia della
vita fuori, delle luci della città, della luna in cielo e..sentirei di non essere sola
al mondo.
Lui dorme in un sarcofago. Abbassa tutte le tapparelle di
casa fino all'ultima griglia dell'ultima finestra. Chiude le tende per scacciare anche la più infinitesima particella di luce e anche le porte...per maggior sicurezza (e l'ho anche visto usare la mascherina...per fuggire dalla luce dell'orologio!). Io - confesso - lascio spesso la porta del corridoio
“accidentalmente” aperta di 4 cm, uno spiraglio. Quando succede lui passa la giornata come uno zombie, ripetendo - affranto e distrutto - di non aver dormito, di essere sveglio dalle 5, perchè luce era davvero insopportabile. Anche a
Novembre.
Io sistemo la biancheria nell’armadio, vado a recuperare altro dallo stendino, torno 22 secondi dopo con maglie magliette e maglioni su un
braccio, lenzuola sull'altro, tra le mani gli omini delle camicie, biancheria varia impilata in un magnifico gioco di equilibri e...Lui ha spento la luce e chiuso l'armadio. E a me non resta altro
modo per centrare il pulsante della luce che non sia far cadere tutto a terra!
Io appoggio le chiavi della macchina sul tavolo della cucina. C'è una ragione: nella vita 2.0 la mammamedia ha bisogno delle briciole di Pollicino: devo portare le chiavi al custode, la nonnap le ritirerà a un’ora concordata e porterà
la macchina all'ultimo appuntamento utile per cambio gomme e revisione. Me lo devo ricordare per forza, se le metto sul tavolo accanto alla porta sono più efficaci di qualsiasi post it. Se
non porto le chiavi non cambieremo le gomme, non faremo la revisione e sarà la
fine del mondo così come lo conosciamo. Tutto questo discorso è nella mia testa
ovviamente. Maxi non reggerebbe la metà di questa spiegazione. Fiera del mio
piano infallibile, continuo il mio girovagar per casa nel tentativo – vano – di
arginare la catastrofe. Ed ecco che lui passa dalla cucina e rimette a posto
le chiavi nel loro apposito cassettino. Va da sé che non vedendo le chiavi, non
me ricorderò, non le consegnerò al custode che non avvertirà la nonna
che lo scoprirà solo quando è troppo tardi, quando sarà senza le chiavi di casa mia
perché le ha la tata che è andata al parco da dove ritornerà solo alle 7 e il
carrozziere sarà chiuso e oggi è….venerdì!
Tutto uguale negli ultimi 19 anni e temo anche nei prossimi 19.
Maxi è un uomo meraviglioso, ordinato e collaborativo, ma ahimè ha una capacità
di ascolto di 37 secondi dopodichè le sinapsi che aveva allocato a
quell'argomento chiudono i battenti e si occupano di altro. E' il mio karma: il capo, il papà e il fratello hanno la stessa modalità “calda” nel
dialogo. Parlare con questi uomini vuol dire condensare un’informazione, una
storia, un aneddoto in 7 parole, comporre frasi senza aggettivi, avverbi,
pronomi, interiezioni e pronunciare il tutto a velocità superluminale e in un
ordine strategico: le prime tre parole saranno le uniche ad essere ricordate, il resto...in cavalleria. La sintesi è un dono divino, è un pregio:
soggetto, predicato, complemento. Ma uffa, un evento va circostanziato. E’
difficile in famiglia parlarsi in modo basico: “Lascia le chiavi sul tavolo” è
un telegramma, non un dialogo.
Le differenze tra me e Maxi si sono acuite con l'arrivo dei microospiti, ci inseguiamo per casa cercando di arginare la
catastrofe che i due nanoelettroni portano con sè e,
come nella migliore scena del teatro dell’assurdo, compiamo azioni uguali e
contrarie transitando in un luogo a distanza di pochi secondi uno dall’altra.
La differenza tra di noi sta nella radice delle differenze tra uomini e donne
(concedetemi di generalizzare)…io ho un approccio didascalico: fare=chiacchierare; lui ha un
approccio sintetico: azione=reazione. E così succede che io apro e lui chiude,
io chiudo e lui apre, io metto lui toglie, lui mette e io tolgo, io sposto lui
rimette, io accendo lui spegne. Il tutto in una manciata di metri quadri e di secondi e spesso anche nello stesso metro quadro: io apro un’anta e lui la chiude, io
prendo il riso, mi volto e lui lo mette via. E ognuno di noi prosegue nel suo percorso: non trovo il riso quindi si mangia prosciutto e melone. Come in un errore di Matrix, il riso non è mai esistito.
Chissà se un giorno le nostre strade e le nostre volontà si
uniranno o se mi conviene avere sempre almeno un piede sulla scala per non
rischiare di non trovarla più perché l'ha messa al suo posto.
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